Qualche anno fa, la mia amica Tiziana augurò ai suoi follower di Facebook “Buon settembre”. Nel suo post spiegò che settembre dovrebbe essere l’inizio dell’anno così da sostituire gennaio nella convenzione del nostro anno solare. 

A settembre si torna dalle vacanza, ricomincia tutto, ci sono tutti i nuovi inizi. 

Quel post aveva il consenso di molti. Poi in queste settimane ho visto altri post simili e petizioni fake per cambiare l’inizio dell’anno solare. 

Poi, anche e soprattutto promozioni e/o sconti che dovrebbero rendere il “back to school” o il “back to work” meno triste. 

È vero, settembre è un mese di inizi con altri rituali, senza il count down che ci fa passare da un anno all’altro.  

Però abbiamo in spalla lo zaino nuovo, nuovi propositi, si prospettano altri cambiamenti (da un corso ad un altro, da un ruolo ad un altro, da un orario ad un altro). 

Ecco: a volte questi rituali di inizio sembrano dover essere per forza belli o necessariamente ricchi di significati. Io credo – come abbiamo scritto in un post su instagram – che molte volte gli inizi facciano proprio schifo. 

Pensiamo al primo giorno di scuola: in molti casi è noioso, solitario, frustrante, con un elenco di regole dettate dai prof che in molti casi vogliono solo fare paura. 

E può succedere di sentirsi inadeguati perché gli inizi sono quasi sempre belli e quindi ci chiediamo: “perché proprio a me non piacciono?”

Ho ripensato a un po’ di inizi orribili (da cui desideravo realmente scappare) della mia vita e ho provato a rispondere alla domanda: perché a me non piace questa novità che dovrebbe essere bella e piena di entusiasmo? 

Non mi piaceva ed il motivo era: mi mancava un perché. Un perché forte. 

Il “perché” – la ragione che ci fa alzare la mattina – qui lo chiamiamo scintilla. 

La scintilla di Move On* non è stata solo una, quindi sicuramente dovremmo parlare di scintille. Ma una molto forte e – giustamente – illuminante è stata la lettura di “Lettera a una professoressa” dei ragazzi della scuola di Barbiana. 

Quei ragazzi avevano un perché fortissimo: tutti dovevano avere le stesse possibilità, loro non dovevano essere esclusi, loro dovevano avere spazio a scuola e lo dicono chiaramente in una lettera. 

La scuola sarà sempre meglio della merda, scrivono. Quando molte volte ho detto (abbiamo detto, eh?) che la scuola è proprio una merda. E quindi? Che ci facciamo? Ci arrendiamo e non cerchiamo un perché? 

Quella dei ragazzi di Barbiana è la lettera a una professoressa ma è anche una lettera a ciascuno di noi. 

Perché è forte, intensa, convinta ed è anche il manifesto di una realtà. Da lì nasce una scuola, una comunità che impara. 

Mi permetto quindi, di dare due piccoli consigli per questo settembre che è quasi a metà e ci ha provato, entusiasmato, convinto, rassicurato. 

  1. Se non avete letto “Lettera a una professoressa”, consiglio la lettura e l’inspirazione potente che ha con sé. Non a caso è il primo libro della nostra libreria “Felicità obbligatoria”.
  2. Scrivere una lettera a noi stessi, provando a rispondere a queste domande:
    che decisioni ho preso che mi hanno portato fino a qui, a questo nuovo inizio? Cosa ho imparato e posso portare in questo nuovo viaggio?
    E ora? Come mi sento? Cosa è importante per me? Cosa voglio per me? Cosa voglio cambiare?
    E a fine anno? Cosa voglio aver imparato? Come voglio vedermi e ri-scoprirmi?
    Chi sono i miei alleati? Chi e cosa saranno utili per raggiungere i miei obiettivi? 

Ci siamo? Ora stamparla (se scritta al pc) o piegarla se scritta a mano e chiuderla in una busta. Aspettare il 30 giugno (o una data significativa per voi) e riaprirla e vedere un po’ cosa è cambiato. 

La lettera degli studenti di Barbiana era di protesta e riscatto. Se decidiamo di scrivere la nostra, decideremo come dovrà essere. In ogni caso spero che possa essere un momento di cura e attenzione verso noi stessi: tempo utile per iniziare un cammino. 

Anche noi di Move On* la scriveremo e inizieramo insieme questo nuovo anno.

Quindi, buon viaggio di scoperta a tutti e a tutte. Let’s shine on. 

A cura di Carla Filannino

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