Penso che l’espressione lettura obbligatoria sia una contraddizione.

La lettura non dovrebbe essere obbligatoria. Dovremmo parlare di piacere obbligatorio? Come mai?

Il piacere non è obbligatorio, il piacere è qualcosa che si cerca.

Felicità obbligatoria! Cerchiamo anche la felicità

Jorge Luis Borges

 

 

Qualche consiglio di lettura per illuminare la strada verso l’obiettivo più importante di tutta la nostra vita: imparare ad essere felici (e, al bivio, scegliere sempre la felicità). Non c’è un ordine, se non quello cronologico dei momenti in cui ci è venuto in mente un libro che abbiamo letto e che potrebbe esservi di ispirazione. Sulla nostra pagina Instagram ne commenteremo uno a settimana. Vi aspettiamo anche lì per scoprirli e riscoprirli assieme!

La scuola di Barbiana, “Lettera a una Professoressa”

Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse: “La Scuola sarà sempre meglio della merda”.
Questa frase va scolpita sulla porta delle vostre scuole. Milioni di ragazzi contadini sono pronti a sottoscriverla. Che i ragazzi odiano la scuola ed amano il gioco lo dite voi. Noi contadini non ci avete interrogati. Ma siamo un miliardo e novecento milioni. Sei ragazzi su dieci la pensano esattamente come Lucio. Degli altri quattro non si sa. Tutta la vostra cultura è costruita così, come se il mondo foste voi.


Franco Cassano, “Mal di Levante”

Bari città europea, ma anche capitale dell’incontro tra le religioni, sede di un’università autenticamente mediterranea, capace di capire che essere ponte non vuol dire colonizzare, ma organizzare incontri alla pari in cui si insegna e si impara, che cerca la fusione tra valorizzazione turistica e tutela dell’ambiente, l’equilibrio tra affari privati e pubbliche virtù. Una baresità dall’orizzonte più largo, un senso pratico che ritrova sé stesso dopo aver viaggiato, che diviene più sicuro di sé perché ha riscoperto il rischio della traversata. Bari che trasforma il suo malessere in un privilegio, perché capisce che deve mettersi a lavorare sul confine tra la ragione e il suo altro, che intreccia lumi e mistero, imprese e preghiere, negozi e racconti, traffico e fantasia, una città che non c’è, ma potrebbe esserci se…


Franco Cassano, “Il pensiero meridiano”

L’incontro tra terra e mare […] è […] la difficoltà di stare in un solo luogo. […] lo si può trovare nei nostri sud interiori, in una follia, in un silenzio, in una sosta, in una preghiera di ringraziamento, nell’inettitudine dei vecchi e dei bambini, in una fraternità che sa schivare complicità e omertà, in un’economia che non abbia ripudiato i legami sociali. Lo si può trovare nei sentimenti dove vivono più patrie, […] dove la bellezza torna a essere un premio per chi l’ha cercata a lungo.

Chi non vuole essere né naufrago, né contadino o poeta deve lavorare più modestamente su un moto doppio, su una contraddizione, sulla liceità conflittuale del partire e del tornare. […] è questo andirivieni, questo andare-tornando e questo tornare-partendo, questo partire non per fuggire ma avendo confidenza con il νόστος, ma anche il suo contrario, l’essere altrove quando si è a casa.


Paulo Coelho, “L’Alchimista”

 Quando desideri qualcosa, tutto l’Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio.


Alessandro D’Avenia, “L’appello”

Quando il suono prolungato della seconda campanella cessa, l’aula precipita nel silenzio della curiosità, rarissimo a scuola. Adesso avverto più forte il respiro delle bocche, l’attrito dei corpi fatti di dolori segreti, gioie strappate per caso alla vita, noia spessa, lacrime salate e ben nascoste, carne, muscoli, capelli e denti, tanti denti. Ci sono tutte le componenti invisibili della materia e dell’energia, le stesse che compongono il cosmo, da un granello di sabbia a una supernova.


Jack Kerouac, “On the road”

Proprio mentre passavamo davanti a quell’altro lampione stavo per dirti un’altra cosa, Sal, ma adesso continuo per inciso con un nuovo pensiero e nel momento in cui raggiungeremo il prossimo lampione tornerò al soggetto originale, d’accordo?” Naturalmente fui d’accordo. Eravamo talmente abituati a viaggiare che dovemmo camminare per tutta Long Island, ma più in là non c’era altra terra, solo l’Oceano Atlantico, e non potevamo andare più lontano di così. Ci stringemmo le mani e decidemmo di essere amici per sempre.

Perché per me l’unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Oooohhh


Cormac McCarthy, “La strada”

Quando ho visto quel bambino ho creduto di essere morto.

Non sapevo che cosa fosse. Non avrei mai pensato di rivedere un bambino. Non immaginavo che sarebbe successo.

E se le dicessi che è un dio?

Il vecchio scosse la testa. Ormai certe cose me le sono lasciate alle spalle. Da anni. Dove gli uomini non riescono a vivere gli dèi non se la cavano certo meglio. Vedrà. Stare soli è il minore dei mali. Quindi spero che quello che ha appena detto non sia vero, perché essere in viaggio con l’ultimo degli dèi sarebbe terribile.


Gianrico Carofiglio, “Né qui né altrove”

E, mischiate alle luci della pista e alle ombre degli ulivi, rividi – come dicono che capiti negli ultimi istanti – una sequenza di avventure, di sogni, di ragazze, di libri, di discorsi, di voglia rabbiosa, di sport, di film, di pugni, sputi e calci in faccia, di ubriacature, di musica.
Di paura e di coraggio che se non vanno insieme non valgono niente. Né l’una né l’altro.
Di cose realmente accadute e di cose che avevo aggiunto ai ricordi, senza saperlo e senza volerlo, perché quella delle storie è una malattia subdola e inguaribile.
E tutto si era svolto in quella trama di strade squadrate e regolari nelle quali, in certi pomeriggi deserti d’estate, quando c’era il maestrale, e l’aria era nitida, ogni angolo sembrava il punto di fuga verso un infinito pieno di promesse.


Francis Scott Fitzgerald, “Il grande Gatsby”

Gli alberi scomparsi, gli alberi che avevano ceduto il posto alla casa di Gatsby, avevano una volta incoraggiato bisbigliando il più immane dei sogni umani; per un attimo fuggevole e incantato, l’uomo deve aver trattenuto il respiro di fronte a questo continente, costretto ad una contemplazione estetica, da lui non capita né desiderata, mentre affrontava per l’ultima volta nella storia qualcosa di adeguato alla sua possibilità di meraviglia.
Mentre meditavo sull’antico mondo sconosciuto, pensai allo stupore di Gatsby la prima volta che individuò la luce verde all’estremità del molo di Daisy. Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter fuggire mai più. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in quel vasto buio dietro la città, dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, al futuro orgiastico che anno dopo anno indietreggia di fronte a noi. Ci è sfuggito allora, ma non importa: domani correremo più forte, allungheremo ancora di più le braccia… E una bella mattina… Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.

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Matthew McCaunaughey, “Greenlights. L’arte di correre in discesa”

Quell’anno ha dato forma a chi sono oggi. In quell’anno, mio malgrado, ho trovato me stesso […] Avevo firmato un patto con me stesso che non sarei tornato indietro. […] Andai in crisi, ma non le diedi peso e cercai di restare a galla finché non avessi superato il traguardo. Tenni duro. […]

E mentre stavo impazzendo, continuavo a ripetermi che ero lì per imparare una lezione, che c’era un lato positivo, che dovevo superare l’inferno per arrivare dall’altra parte. E ci riuscii. Non possiamo apprezzare le luci senza le ombre. Dobbiamo perdere l’equilibrio per trovare un appoggio migliore. è meglio saltare che cadere. E ora eccomi qua.

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Guglielmo Minervini, “La politica generativa”

In Puglia si osa. Si innova. Si sperimenta. La sua perifericità culturale diventa il cuore di un’alterità, che scopre di avere cose importanti da dire sul mondo. Così ha preso a parlare. […] Per la prima volta, la politica offriva strumenti per far accadere i cambiamenti a partire dall’attivazione delle persone. E i protagonisti erano loro, i giovani. Si è svegliato un vulcano, con un’eruzione di creatività e innovazione.

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Massimo Recalcati, “La forza del desiderio”

La vita umana è vita che eredita qualcosa dall’altro, sempre e necessariamente, viene dall’altro; non c’è vita umana che si autogeneri, la vita è sempre in un processo di filiazione. Massimo Cacciari ci ricorda che la radice etimologica del termine “erede” è “orfano”: ciascun erede è anche al tempo stesso, proprio in quanto erede, orfano, cioè gli altri da cui proviene, i genitori innanzitutto, non saranno mai in grado di proteggere la sua esistenza sotto un ombrello che ripari la vita dal trauma, dal cattivo incontro, dallo sbandamento, dallo sconfinamento, eccetera. […] Ciascuno di noi è orfano, ma ciascuno di noi è erede: dobbiamo ogni volta inventare la nostra eredità.
Noi siamo sempre responsabili di quello che facciamo di ciò che gli altri hanno fatto di noi. […] La nostra responsabilità consiste nel fare qualcosa di quello che gli altri ci hanno fatto. Qui emerge una responsabilità irriducibile.

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Massimo Recalcati, “Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre”

Eppure il desiderio non ha solo questo volto tirannico e insoddisfatto del desiderio insaziabile. Esso è anche ciò che resiste all’impero del godimento mortale. Cosa può salvare la vita da questa nuova forma di schiavitù? è il desiderio come vocazione, apertura, forza che trascende l’immediatezza del consumo. è desiderio che non crede al potere salvifico dell’oggetto e al suo carattere seriale. è desiderio che non insegue ciecamente il miraggio del Nuovo, ma che estrae il Nuovo dalla fedeltà allo Stesso perché sa rendere le stesse cose Nuove. Questa forza – la potenza del desiderio – non è in antitesi alla responsabilità ma è una forma radicale e illimitata della responsabilità. Nell’Odissea Ulisse, il padre di Telemaco, lo rivela nel gesto del tiro con l’arco. Ci vuole forza orientata alla memoria, forza sapiente, forza di raggiungere la propria parte perduta. L’arco si piega, non rigetta le mani di chi lo sa riconoscere, di chi, a sua volta, si piega alla sua forza.

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Henry David Thoreau, “Walden”

Perdersi nei boschi, in qualsiasi momento, è un’esperienza sorprendente e memorabile, e insieme preziosa. […] è solo quando ci siamo completamente perduti, o abbiamo fatto un giro vizioso – ché, in questo momento, a un uomo basta solo far fare un giro vizioso a occhi chiusi perché si perda – che apprezziamo la vastità e la singolarità della Natura. Ogni uomo deve imparare da capo le direzioni della bussola, ogni volta che si risveglia sia dal sonno che da qualsiasi astrazione. Solo quando ci siamo perduti – in altre parole, solo quando abbiamo perduto il mondo – cominciamo a trovare noi stessi, e a capire dove siamo, e l’ampiezza infinita delle nostre relazioni.

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Chiara Giaccardi & Mauro Magatti, “Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo”

Improvvisamente l’individualismo si è rivelato per quello che è: un’astrazione. Di fronte al virus, abbiamo vissuto sulla nostra pelle il fatto che siamo tutti interdipendenti, che le nostre vite sono legate le une alle altre, che i nostri comportamenti condizionano i destini altrui e viceversa.
Non siamo individui, ciascuno nella sua bolla di immunità, ma persone in relazione (col vivente di cui siamo parte, insieme al virus), ciascuna con il suo carico di responsabilità.

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Sandro Calvani, “Le stelle non hanno paura di sembrare lucciole”

In diverse epoche della storia, l’esperienza di alcuni paesi ha dimostrato che di fatto i processi educativi sono le misure più efficaci per trasformare i cuori, le coscienze, e per facilitare e ottenere quei cambi di mentalità necessari a rafforzare i tessuti sociali che aiutano la diffusione della facilità. Se l’educazione è un toccasana dimostratosi utile, perché la usiamo così poco? Perché in moltissimi paesi i governi dedicano bilanci minuscoli all’educazione pubblica? E soprattutto perché, mentre cresce la diffusione di strumenti di accesso alle reti online, pochi si curano di orientarli all’educazione?

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Andrea Marcolongo, “La misura eroica”

L’arte di fallire è la più umana delle debolezze, e come tale merita la più grande tenerezza. […] Come quella di Argo, la prima nave costruita al mondo, guidata da una schiera di eroi e scampata a tanto mare, tanti pericoli, da Scilla e Cariddi alle Simplegadi, ora condannata a naufragare non negli abissi, ma sulla terraferma. […]

In questo presente è obbligatorio arrivare sempre primi, a ogni costo, e ovviamente è vietato inciampare. Il risultato è un tasso di depressione ai massimi, soprattutto tra i più giovani cui nessuno ha teso una mano per aiutarli a rialzarsi la prima volta che hanno sperimentato la caduta, ma cui tutti hanno sventolato davanti il cartellino rosso. Ragazzi che al primo fallimento sono rimasti soli, lasciati a terra. Fallire è diventato il fallo calcistico, infrazione, violazione delle regole del crudele gioco moderno della perfezione. Dunque penalità, dunque fuori. Eliminati. […]

Nessuno si fece avanti; tutti guardavano Argo incagliata nella sabbia e nel limo del Nordafrica.


Michela Murgia, “Chirù”

Mi domandai se sarei mai riuscita a insegnare a Chirù a difendersi dall’invadenza dei vincoli di sangue, agendo al di là di ogni resistenza razionale, si annida da inquinante. Avrei voluto proteggerlo da quelle ferite che chiamiamo affetti familiari e impedire che ripetesse i miei stessi errori, ma certe verità si ereditano solo da sé stessi. […] Ci separavano vent’anni e due storie diverse come il giorno lo è dalla notte, eppure sul divano della caffetteria ebbi la certezza che quel ragazzo sapesse quanto me che c’erano molti modi di essere orfani, e che avere genitori morti fosse solo il più facile da spiegare.


Alessandro D’Avenia, “Resisti cuore. L’Odissea e l’arte di essere mortali

La depressione genera un dolore senza parole, perché non è localizzabile circoscrivendo la zona e la causa del male. Il dolore è ovunque, come l’anima, e non ci sono pinze per asportarlo, né organi da curare… […] Lui, che era sempre stato un uomo pieno di energia, affamato di avventure e generoso di racconti, si spense, in preda alla paura di tutto. Mia madre fu costretta a diventare grembo per il marito […]. La depressione è come i buchi neri: ha una forza di gravità tale che inghiotte anche la luce e non la restituisce più; e non si sa che cosa ci sia dall’altra parte. […] E mia madre resisteva per tutti noi, anche quando mio padre dovette farsi ricoverare lontano da casa per alcuni mesi, lasciando il lavoro e i figli, perché non riusciva più ad alzarsi. E quando hai bisogno di un padre e non ce l’hai cresci storto, con addosso la paura della vita, con il timore che possa arrivare un dolore senza senso a spezzarti.


Italo Calvino, “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio

Forse Kafka voleva solo raccontarci che uscire alla ricerca di un po’ di carbone, in una fredda notte nel tempo di guerra, si trasforma in quête di cavaliere errante, traversata di carovana nel deserto, volo magico, al semplice dondolio del secchio vuoto. Ma l’idea di questo secchio vuoto che ti solleva al di sopra del livello dove si trova l’aiuto e anche l’egoismo degli altri, il secchio vuoto segno di privazione e desiderio e ricerca, che ti eleva al punto che la tua umile preghiera non potrà più essere esaudita, – apre la via a riflessioni senza fine.

Avevo parlato dello sciamano e dell’eroe delle fiabe, della privazione sofferta che si trasforma in leggerezza e permette di volare nel regno in cui ogni mancanza sarà magicamente risarcita. Avevo parlato delle streghe che volavano su umili arnesi domestici come può essere un secchio. Ma l’eroe di questo racconto di Kafka non sembra dotato di poteri sciamanici né stregoneschi; me il regno al di là delle Montagne di Ghiaccio sembra quello in cui il secchio vuoto troverà di che riempirsi. Tanto più che se fosse pieno non permetterebbe di volare. Così, a cavallo del nostro secchio, ci affacceremo al nuovo millennio, senza sperare di trovarvi nulla di più di quello che saremo capaci di portarvi.


Joe Biden, “Papà, fammi una promessa”

Prima che fosse il momento di salire sul palco Beau faceva sempre la stessa cosa: mi afferrava il braccio e mi avvicinava a sé finché non eravamo l’uno davanti all’altro, occhi negli occhi. “Papà , guardami. Guardami. Papà. Ricordatelo. Casa base, papà. Casa base“(nel baseball la casa base è il “piatto di casa”: il punto da cui partono le azioni, ma anche l’ultima base che chi corre deve toccare per segnare un punto, ndt). Quello che intendeva dire era: ricordati chi sei. Ricordati le cose importanti. Resta fedele ai tuoi ideali. Sii coraggioso.


Cynthia Cruz, “Melanconia di classe. Manifesto per la working class”

Chi non riesce a trovare lavoro nel posto dove vive, dovrebbe andare a cercarlo altrove. Un’affermazione simile implica che lasciare il proprio ambiente, la casa, il quartiere, la famiglia e gli amici, sia un fatto trascurabile. Un invito del genere non verrebbe mai rivolto alla classe media, ovviamente. Tuttavia da una persona della working class ci si aspetta che abbandoni tutto ciò che fa parte della sua vita solo per guadagnare denaro.


Andrea Marcolongo, “La lezione di Enea”

Nella polvere, a Enea di chi sia la colpa importa poco. Perché sta già pensando a come risalire. è così che ha già vinto. […] Laddove più acutamente soffre, a Enea non è concesso di mostrarlo: “Simula la speranza nel volto e soffoca in cuore dolore profondo” (Aen., I, 209). Già. Nell’emergenza della crisi, il dolore deve stare tra parentesi. Perché Enea non è solo. […]

Se Enea non può piangere è perché, allacciato alla sua mano, c’è suo figlio. In definitiva, questo è il senso ultimo della pietas di Enea. Continuare non perché lo si vuole, ma perché non è lecito crollare. Assumersi la responsabilità morale di chi abbiamo accanto. […]

Tutto ciò che Enea fa, non lo fa per sé. La città che ricostruisce in Italia non è il suo rifugio per la vecchiaia né lo stendardo della sua fama – il suo periplo finisce senza ricompensa né particolare gloria, condotto in silenzio, in cielo, dalla madre Venere. Pur stremato, Enea rimette insieme le macerie a forma di patria. Una patria che sa che non avrà il tempo di abitare. Ma che sa che abiteranno suo figlio, i suoi nipoti. E dopo di loro, arriviamo noi.


Gio Evan, “Cento cuori dentro”

Guidare la macchina mi piace, mi tiene impegnato, stimola l’attenzione, incoraggia, vedere i paesaggi che sfumano via mi fa sentire veloce.

La velocità è il diciassettesimo cuore, e non vuol dire avere fretta. […] si può avere fretta facendo le cose lentamente e si può essere tranquilli mentre si va veloci. “Veloce” viene da velox che a sua volta significa anche “vivace”, parola composta da “via” e “pace”. Nella velocità c’è la vita in pace, mi piace credere così. La velocità ricorda che tutto scorre, che tutto sfuma, le cose diventano imprendibili, sfuggono, la velocità abbellisce i lineamenti, i volti, le persone viste di sfuggita sono tutte più belle. Non esiste il brutto quando si corre, il vento addolcisce perfino i profili più severi. Io non lo so se esiste Dio perché non l’ho mai sentito, non l’ho mai visto, ma se dovessi mettermi a pensare a lui lo penserei come il vento.

Una felicità di lontana provenienza mi s’intrufola nel sangue, si ristora nel mio respiro, come un gatto sulla pancia, dandomi pace.