Eccoci qua, ricominciamo. Senza fretta e con qualche sosta, abbiamo sempre pensato a come poter crescere con Move On* 

Un anno fa abbiamo inaugurato questo sito e poi abbiamo iniziato a conoscere studenti e creare attività online. Ah, abbiamo anche aiutato un gruppo di rappresentanti nella realizzazione di  un’assemblea di istituto. 

Tutto molto bello sicuramente, ma ora sentiamo un forte desiderio di continuare a puntare (più) in alto. A piccoli passi, siamo riusciti a creare un’associazione (un ETS) che ha sede in Puglia (perché da lì è nato tutto) e stiamo ricominciando ad interrogarci su cosa serve all’educazione e quale potrebbe essere il nostro contributo. 

Quando le idee si trasformeranno in piani di azione e poi in progetti, torneremo a scriverle tutte qui. 

Prima di tutto, però, proviamo a trarre una prima riflessione dagli esperimenti fatti attraverso Move On*. 

Impariamo, non insegniamo. 

Mc Luhan, teorico della comunicazione del secolo passato, diceva che le classi sono prigioni senza sbarre. Credo che non avesse tutti i torti: soltanto la forma dei banchi ricorda delle linee che compongono un cancello. 

Un tavolo più grande su un lato della stanza, poi, ricorda dove è il potere e come si trasmette. Perché chi è in cattedra ha un potere ed un impatto diverso rispetto a chi è nei banchi. 

Dai banchi si ascolta, si prendono appunti, ci si distrae, in linea di principio però si acquisisce una conoscenza che arriva da chi è più grande e ne sa di più.

Ecco, questo è insegnare: trasmettere la conoscenza. 

Molte volte dai banchi si prova frustrazione, rabbia, delusione, noia, ansia. Tutte queste emozioni si possono semplicemente riassumere nella frase: “Ma questo a cosa serve?” 

La tentazione di dire “A NIENTE” è sempre viva, questa risposta è anche una scorciatoia per alcuni per non addentrarsi in dialoghi troppo lunghi e fastidiosi, in polarizzazioni assurde o – se si esagera parecchio – anche in perdita di amicizie. 

Per trovare una risposta a quel niente o peggio ancora al “devo farlo per passare il compito, la verifica, l’anno”, abbiamo provato a sperimentare lezioni differenti. 

Un esempio: abbiamo provato a rendere interessante un esercizio di traduzione dal latino all’italiano in una classe di studenti di 16 anni. 

Giulia ha creato, infatti, un laboratorio di traduzione sul De lingua latina di Varrone.

Gli ingredienti del successo sono stati un testo latino dal contenuto sufficientemente fantasioso (a tratti ridicolo) e l’organizzazione dei ragazzi in squadre di traduttori. Il laboratorio si è svolto, in fin dei conti, come un gioco a punti: c’erano le squadre e c’era il divertimento.

Cosa abbiamo imparato da questo prototipo di lezione?

Imparare insieme è più facile e più motivante: dove non arriva la competenza di uno, arriva quella di un altro. I ragazzi hanno capito, attraverso l’esperienza, che la diversità degli stili cognitivi è una ricchezza in un processo complesso come la traduzione. 

Chi ha detto che le versioni si devono fare da soli? Chi ha bandito il lavoro di squadra dalle classi e ha fatto entrare la competizione?

Almeno a casa, proviamo a tradurre in gruppo?

A cura di Carla Filannino

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