(Perché è così importante imparare in comunità)

Come ho scritto nella mia biografia, dopo tanto navigare ho incontrato un luogo dove la mia “scintilla” possa crescere e fare luce.

Lavoro in Spagna  e ho avuto la bellissima opportunità conoscere un corso universitario sui generis, LEINN (leadership, entreprenaurship and innovation), nato in Finlandia dalla scintilla di un prof di economia, stanco della didattica tradizionale. LEINN è learning by doing, non ci sono lezioni, aule, professori.

La grande sorpresa è stata scoprire che neanche i voti (come li conosciamo noi), esistono. 

C’è un momento di valutazione che si basa esclusivamente sul dialogo.

Incredibile, no? Durante le valutazioni si parla e ci mettiamo da soli il voto che meritiamo. 

Il voto rappresenta il valore che vogliamo assegnare a tutto il processo di apprendimento che seguiamo durante l’anno. 

Senza dilungarmi troppo: cosa ho imparato, durante queste valutazioni?

Ho passato molto tempo dentro le istituzioni educative tradizionali, nel post precedente ho detto che sono quasi 22 anni.  

A scuola, quando arrivava il momento delle valutazioni mi facevo sempre la stessa domanda: che voto prenderò questa volta?

E questa stessa domanda se la facevano tutti. E si ripeteva tra i corridoi tra dubbi, previsioni, malumori e gioie. 

E poi arrivava il giorno della pagella (si chiama ancora così?), ed è così che dalla cattedra iniziava una competizione molto crudele: “E tu? Che voto hai preso quest’anno?”

Queste domande riecheggiavano per le aule e iniziavamo tutti a confrontarci tra di noi per vedere chi fosse stato il migliore. 

E questo rituale – che si ripeteva ogni anno uguale – era un mix di curiosità, tensione, felicità.

E sempre c’era spazio per qualche delusione o qualche frustrazione. Quante emozioni per un momento che ha lasciato un segno indelebile nella vita di tutti gli alunni e ancora si ripete di generazione in generazione.

E nessuno che ci ha detto qualcosa su queste emozioni, come gestirle, affrontarle, darle un significato: cosa posso imparare dalla mia rabbia? Cosa posso imparare dalla mia delusione? Dalla mia felicità? 

Anche gli insegnati, che in un momento della vita sono stati alunni, aspettano con un altro ruolo questo momento: però dall’altro lato della cattedra, sanno già cosa succederà. Questo rituale così scolastico sembra una storia senza fine. E io ancora non so, dopo tanti anni tra i banchi di scuola, se essere scolastici sia un bene o un male. 

Bene. Da qualche mese, ho scoperto – con non poca sorpresa – che questo rituale, così radicato nella nostra vita di studenti, può essere cambiato in modo semplice (anche se in maniera potente). Gli studenti del corso LEINN, durante il periodo di valutazione, si chiedono: cosa abbiamo imparato in questi mesi? 

Con questa domanda, nasce un dialogo molto lungo e molto interessante.

È divertente notare come tra tutte le innovazioni, le idee che vogliamo avere per rivoluzionare la didattica, alla fine, la tecnologia più potente è il dialogo.

Marshall Mcluhan diceva che le aule sono prigioni senza sbarre. La forma dell’aula ricorda proprio le linee delle sbarre che chiudono uno spazio piccolissimo. 

Immaginate se per un momento, dopo aver dato le pagelle (perché i voti si devono mettere, eh), chiedessimo ai nostri studenti di mettersi in cerchio e di dialogare: che succederebbe?

Iniziamo noi a chiedere: cosa avete imparato in questi mesi? Come vi siete sentiti? A chi avete chiesto aiuto? 

Io credo che si potrebbe creare un nuovo rituale, un tempo nuovo. 

Mi piace pensare alle valutazioni come un tempo “in sospeso” in cui potremmo imparare dalle esperienze e dall’apprendimento degli altri. 

La conoscenza è un mezzo, non un fine. Non è un voto. È uno strumento che ci aiuta a capire la realtà e ad interpretarla. 

Immaginate, se chiedessimo agli studenti un’autovalutazione.

Rispondere alla domanda: cosa hai imparato?

E va bene qualsiasi risposta: ho imparato a studiare, a fare mappe concettuali, ho imparato che di sera non si studia, che con il mio compagno di banco studio meglio, che a casa mi distraggo, che mi piace leggere, non mi piace la matematica. Ho anche imparato che voglio fare un progetto in storia e magari se lo dico al prof mi dice di sì.

Perché durante le valutazioni dialoghiamo e capiamo in che direzione vogliamo andare per riuscire a creare la migliore versione di noi stessi (insegnati e studenti/studentesse). 

Potrebbe nascere un nuovo rituale: la preparazione, la riflessione, il desiderio. E questo è chiaramente un periodo di costruzione, da cui potrebbe nascere un bene comune e quindi una comunità. 

L’esperienza della scuola di Barbina ci mostra quanto sia importante imparare in comunità.

Il bene comune di Barbiana era il suo stesso motto “I care”, mi sta a cuore. Mi sta a cuore il mio problema e il problema degli altri e scelgo di affrontarlo. Come? Imparando, facendo domande, affidandomi e chiedendo aiuto ai membri della mia comunità. Rendendo vero tutto quello che è sui libri di scuola. 

Quale può essere il bene comune delle nostre classi? Delle nostre scuole? Come possiamo crearlo, custodirlo, difenderlo?

Può essere questa la strada per lasciare quella competizione matta e disperatissima? 

Creiamo un dialogo per trovare una soluzione?

Scriveteci in: professor, light a spark*

A cura di Carla Filannino

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