La mente mente.
20 Maggio 2024 by moveadmin
Ricordavo che in secondo superiore (in quinto ginnasio, per i puristi) avevo riempito il mio diario di elucubrazioni sull’etimologia di psichiatra, per concludere che quello era il mio desiderio, “cosa voglio fare da grande”.
Esatto: provo a scrivere della mia scintilla.
Ricordavo di aver raggiunto quella conclusione in un preciso spazio della scuola, in un periodo particolarmente burrascoso della mia vita relazionale tra i banchi di scuola, e di scarsa motivazione, in cui spendevo il mio tempo allontanata dalle mie amiche e fisicamente isolata in fondo, nell’angolo, in un banco abbastanza nascosto, addossato al muro, prossimo alla porta e davanti alla finestra (che era un balcone).
Però ricordavo anche di aver detto a un’amica, che dall’inizio del quinto ginnasio mi aveva definitivamente tagliata fuori dalla sua vita, quel mio desiderio, amica con quattro anni in più, che sapevo mi avrebbe presa sul serio.
Allora, per questo criterio cronologico, nel dubbio ho sfogliato prima tutto il diario del secondo superiore, senza trovare nulla che somigliasse ai lemmi ψυχη (psyché) e ιατρος (iatròs).
Ma molto altro … E poi ho guardato indietro, sul diario del quarto ginnasio, che nella mia ingannevole memoria (che pure è ferrea su alcuni episodi e dettagli) era stato un anno “insignificante”. So bene che in quell’anno si sono concentrati eventi molto significativi per la mia vita – da adolescente, allora; da adulta, oggi – .
Tra quelle pagine ho ritrovato la mia scintilla (come dice la foto in copertina).
Post muto?
Muto il post: prendo note per scrivere su un taccuino che mi hanno regalato dei carissimi amici e che ha in copertina una brunetta coi capelli arruffati e la frase “La felicità si costruisce con mattoni di pazienza”.
A questo punto i miei appunti disordinati si fermano e chissà come avrei voluto continuare. Oggi leggere di pazienza mi riporta ad altre ispirazioni.
Qualche settimana fa ho partecipato ad una conferenza (che trovate qui) in cui si parlava della trappola del p4tri4rc@t0 – lo scrivo così, perché così non ci bannano? No, perché l’abuso della parola mi fa venire il desiderio di criptarla.
Per varie vie si è arrivato a citare un brano biblico in cui si parla di αγαπη (agàpe), che la tradizione cristiana ha tradotto da sempre “carità”, che adesso chiamiamo per iscritto “amore” e insomma non se ne viene a capo per quanto è ineffabile.
Questo attributo, tra i tanti, in effetti manca nel brano citato. Quello che sottolineava il relatore, senza divagare troppo, è che nella traduzione interconfessionale del Nuovo Testamento la carità non viene definita “paziente”, bensì “lungimirante”. Quello che sottolineava era la differenza di postura tra la pazienza e la lungimiranza. Faccio lo sforzo di riconciliare queste due polarità tornando al verbo da cui παθος (pathos)deriva, cioè πασχω (pascho), che – come moltissimi verbi greci – vuol dire una montagna di cose diverse ed è lo stesso verbo del portare in grembo. Dunque, se non è lungimirante chi porta in grembo, chi di più?
La felicità si costruisce con mattoni di pazienza: con uno sguardo in avanti, radicati nel presente e nella necessità di preparare attivamente, non di attendere passivamente gli eventi, e nella fiducia che di per sé quello che faccio ora ha valore.
Dove mi porta questo divagare, all’atto pratico?
Be’, se penso al mio percorso di studi, mi potrei chiedere: perché studiare medicina se uno da grande si vuole occupare di psiche? Ah, perché vuoi prescrivere i faaaaarmaaaaciiiii!
C’è quella base meme del tizio che alza gli occhi al cielo. Eccomi.
Sono tantissime e molto variegate le strade che mi hanno portata a intraprendere il mio mestiere, che è in continuo divenire perché l’esperienza mi trasforma, interroga di giorno in giorno le mie intenzioni, mi fornisce sganassoni che mi svegliano dalle ideologie, mi porta su nuove inesplorate strade (che non portano in nessun posto?, semicit. Gianni Rodari).
Quando ho concluso il liceo, tra le mille strade che mi si aprivano davanti, quella era una. E me la sono goduta giorno per giorno. Ho cambiato idea ad ogni disciplina studiata (tranne un paio che proprio per me sono come il veleno per quanto mi fanno impressione certe cose; no, non il sangue che zampilla). Ok, non me la sono sempre goduta. Il percorso è stato pieno di ostacoli, comprese due bocciature in chimica. Mi sono sentita un’incapace per almeno due anni di università, nell’agone della competizione, nel bisogno di riconoscimento, nell’aridità dell’alienazione di un posto troppo spesso fatto per portare a casa firme sul libretto. Ho versato lacrime e sangue. E ho incontrato persone come me, che soffrivano e avevano un progetto, un sogno, un’idea da mangiare (con Gaber), con cui ho creato la mia strada, quella su cui la mia fatica era sopportabile e al contempo lungimirante.
Quando sono stata in Erasmus ho desiderato cambiare radicalmente strada rispetto alla specialità che ero convinta di star scegliendo.
Poi ho chiesto la tesi e la mia media non era adatta ad avere l’onore di potermi laureare con chirurghi.
Poi ho chiesto la tesi in psichiatria e mi è stato chiesto “Hai avuto mai a che fare con pazienti psichiatrici?”.
Forse la definitiva scintilla della mia vita è stata lì, dentro quell’incontro, fuori dalle medie, fuori dai libretti, dentro una domanda, dentro una relazione.
Non ho creato un significativo legame di fiducia con il mio relatore, da qualche parte mi fa da maestro ma non possiamo chiamarci vicendevolmente con le maiuscole, a stento ci riconosciamo per strada. Pur tuttavia ricordo anche quando gli dissi che mi mancavano cinque esami e che ero stracca, che l’ansia mi stava divorando e che temevo di non farcela, che sentivo il bisogno di rallentare, che forse ad ottobre non sarei riuscita a laurearmi. Mi disse: “Ascolta i segnali del corpo, se ti serve, rallenta”.
Sì, l’università è stato un parto, sostenuto da una lungimirante pazienza.
Inizio con la mente e concludo con il corpo per lasciare altre cose in sospeso: il dualismo mente-corpo è una “c4*4t@ pazzesca”, per citare l’intellettualmente onestissimo Rag. Fantozzi. Ma di questo parleremo in altre golosissime puntate.
Micaela Bozzetti – Psichiatra psicoterapeuta, SPDC Terni