Il simbolo di Move On* è una scintilla. Qualcuno di noi ha il privilegio di averla vista, almeno una volta, nella vita reale. È la scintilla che si vede negli occhi di un ragazzo che sta cercando la propria strada. È la scintilla che si cela in un’anima bella e fragile che non tutti riescono a comprendere. È la scintilla di un’idea brillante che esplode per venire alla luce. 

Ma a scuola queste scintille quanto sono frequenti? Quanto brillano gli occhi dei nostri studenti?

Noi di Move On* siamo animati dalla convinzione incrollabile che ognuno di loro possa brillare, che ognuno di loro possa dare al mondo qualcosa di unico e bellissimo e che sia suo diritto inalienabile farlo. 

Proprio per questo però, siamo consapevoli che una parola detta o non detta può cambiare una vita. Insegnare vuol dire farsi carico, anche per una porzione limitata di tempo, di un destino, che può prendere una direzione o un’altra a seconda di come andrà quel tratto di strada. Certo, non tutto dipende dalla scuola: l’humus sociale e familiare in cui un bambino viene al mondo non può non condizionarne l’esistenza. Ma le altre comunità educanti, a cominciare dalla scuola, hanno il potere straordinario di ribaltare quella condizione di partenza. Tuttavia, non la si può ribaltare se prima non la si comprende, esercitando la dote dell’empatia, essenziale per un docente. 

Per insegnare davvero, bisogna scegliere un ragazzo, scegliere ogni ragazzo in modo diverso, scavare nei suoi occhi finché non si trova quella scintilla e poi portarla alla luce, così che tutti possano vederla, così che tutti possano vedere quello studente per ciò che veramente è. Occorre farsi carico dei suoi desideri (a cominciare da quelli che sembrano meno realizzabili), della sua storia, delle sue difficoltà come delle sue doti. Occorre insomma vederlo e credere in lui, anche quando, citando Laura Pausini e Nicolò Agliardi, “nessuno lo vede” e “nessuno ci crede”.

Alessandro D’Avenia, che con i suoi scritti ha rappresentato una delle principali ispirazioni per la nascita di questo progetto, ha una volta citato una delle più belle poesie d’amore del XX secolo, che incredibilmente si adatta perfettamente ai percorsi formativi e di ricerca, che poi sono anche e soprattutto percorsi di ricerca di sé. 

Perdonami se ti cerco così
goffamente, dentro
di te.

Perdonami il dolore, qualche volta.
È che da te voglio estrarre
il tuo migliore tu.
Quello che non vedesti e che io vedo,
immerso nel tuo fondo, preziosissimo.

E afferrarlo
e tenerlo in alto come trattiene
l’albero l’ultima luce
che gli viene dal sole.

E allora tu
verresti a cercarlo, in alto.
Per raggiungerlo
alzata su di te, come ti voglio,
sfiorando appena il tuo passato
con le punte rosate dei tuoi piedi,
tutto il corpo in tensione d’ascesa
da te a te.

E allora al mio amore risponda
la creatura nuova che tu eri.

Pedro Salinas, La voce a te dovuta (Torino, Einaudi 1997).

Traduzione di Emma Scoles

Ripetere delle nozioni da una cattedra non basta. Interrogare su quelle notizie stampate su carta non basta. Ciò che è destinato a restare degli anni di scuola sono i contenuti trasmessi con passione, è l’opportunità di fare proprio un sapere percepito inizialmente come irraggiungibile, sono le parole di motivazione che il docente rivolge al suo studente proprio nel momento in cui ne ha più bisogno. 

C’è una meravigliosa scena di “8½” che parla di amore e dedizione, due concetti che spesso sono estranei al mondo della formazione.

Guido: Tu saresti capace di piantare tutto e ricominciare la vita da capo? Di scegliere una cosa, una cosa sola ed essere fedele a quella, riuscire a farla diventare la ragione della tua vita, una cosa che raccolga tutto e che diventi tutto proprio perché la tua fedeltà che la fa diventare infinita… Ne saresti capace? Ecco ascolta se io ti dicessi, Claudia….

Claudia: E tu… saresti capace?

Guido: No… no questo tipo no, non è capace. Questo vuole prendere tutto, arraffare tutto, non sa rinunciare a niente; cambia strada ogni giorno perché ha paura di perdere quella giusta, e sta morendo, come dissanguato.

Claudia: E così finisce il film?

Guido: No comincia così, poi incontra la ragazza della fonte, è una di quelle ragazze che danno l’acqua per guarire…

Un insegnante ha la responsabilità di rappresentare la ragazza della fonte. Quella che fa finire il film nella vita di uno studente e ne fa cominciare un altro. Quella che gli dà “l’acqua per guarire”, ossia il coraggio di scegliere una ragione di vita. Quella che non si arrende se la scintilla è nascosta fin troppo bene negli occhi del ragazzo, ma continua a cercare, animata dalla fede incrollabile che deve esserci. E, quando gli altri la vedranno, sarà un incanto. 

A cura di Giulia Iacovelli

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